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Don Karate
Prima cosa, fondamentale: Don Karate è un progetto strano, una specie di deviazione (in)aspettata. Perché Don Karate è il progetto solista-sempre-meno-solista di Stefano Tamborrino, fiorentino, uno dei batteristi jazz più richiesti e apprezzati che si possano trovare in giro, non solo in Italia.
Uno che ha suonato con Stefano Bollani e Ares Tavolazzi, David Binney e Louis Cole, allergico alle etichette e alle limitazioni di qualsiasi genere, e che con Don Karate (per la seconda volta, dopo il primo lavoro ufficiale “I Dance To The Silence”) prende il suo bagaglio tecnico e compositivo accumulato in anni di concerti e collaborazioni in giro per il mondo e lo mischia con l’hip-hop, con le melodie cinematografiche, sovrapponendole a groove spezzati, innestandole con l’elettronica, creando soluzioni sonore completamente nuove, calde, inaspettate, imprevedibili.
Difficilmente etichettabili, esattamente come voleva lui. E insieme a Tamborrino, per rendere reale quello che per molti altri musicisti non è nemmeno teorizzabile, ecco altre due personalità enormi della scena jazz europea (e già collaboratori storici, almeno nei live, del progetto Don Karate): Pasquale Mirra al vibrafono e Francesco Ponticelli al basso (che ha anche co-prodotto questo lavoro).
Tre maestri dell’improvvisazione insomma, che sintetizzano la loro unione non in una gara di virtuosismi fini a se stessi ma in un’esperienza che è ritmica, armonica ed emotiva assieme. Ne viene fuori un disco che sembra un caleidoscopio, un universo sonoro complesso che si espande canzone dopo canzone, che oscilla tra le sessions di Makaya McCraven e i dischi dei Tortoise, suonato dalla prima all’ultima nota, che a volte rimbalza sui bassi (“I Wish”) e altre si fa più malinconico (“African Snow”), ogni tanto sembra volersi spezzare su se stesso (“Ice Age” o “Tea For D.K.”) per poi invece tornare a scorrere (“YSC”), prima ti fa venir voglia di muovere la testa (“La Classe”) per poi lasciarti come le onde che si infrangono calme su una spiaggia (“Epilogo”).
Otto tracce che sono nate nella testa di Tamborrino, per poi prendere una forma definitiva tra Pisa, Arezzo, Firenze e Bologna, il “new jazz sound” di Chicago che si muove da una parte all’altra dell’Appennino, e che verrà pubblicato alla fine di gennaio dalla Original Cultures. Otto tracce capaci semplicemente di portarti sempre da un’altra parte, che poi è uno dei più grandi pregi di ogni musica, dove ogni ascoltatore può perdersi negli spazi tra le note. Per farti ballare felice come un bambino, come se nessuno ti stesse guardando.